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giovedì 25 febbraio 2016

Un regalo da "il Giornale"

Pubblichiamo l'articolo apparso su 
"il Giornale" il 26/02/2016
e il video 
"Così vivono i cattolici anti-modernisti"
a cura di Giovanni Masini



Viaggio fra i cattolici tradizionalisti:
"No all'accoglienza indiscriminata"

In val Vigezzo una piccola comunità celebra la Messa in latino, resiste alle riforme della Chiesa moderna e cerca "un Cristianesimo con più dogmi e più certezze"

Giovanni Masini

Da Vocogno di Craveggia (Verbania)

Un movimento del dito per spegnere lo smartphone e le mani corrono rapide alla borsetta, da cui spunta un velo nero.

Le donne sono pronte per entrare in chiesa. Con un gesto, lasciano la modernità fuori dalla porta, nel mondo secolare e fanno il loro ingresso in una dimensione atemporale, consacrata.

In un cosmo che in apparenza è fermo a sessant'anni fa, ma che per i suoi abitanti è eterno, la comunità cattolica di Vocogno - borgo adagiato nella pittoresca Val Vigezzo - si raduna ogni domenica per ascoltare la Messa secondo il rito antico. La Messa in latino, per intenderci. Fra nuvole d'incenso e paramenti antichi che non siamo più abituati a vedere, i fedeli si muovono a proprio agio nei salmi latini, recitando senza esitazione le preghiere nella lingua di Roma.

Animatore della comunità è don Alberto Secci, da sempre punto di riferimento per i tradizionalisti piemontesi. Don Secci celebra esclusivamente secondo il rito antico dal 2007, quando Benedetto XVI ribadì, promulgando il motu proprio Summorum Pontificum, che la messa in latino non era mai stata abolita.

Tuttavia, a differenza di molti altri sacerdoti, nella chiesa di Santa Caterina si celebra esclusivamente secondo il rito antico. Per la messa in italiano non c’è posto. Lo stesso avviene nella vicina Domodossola, dove don Stefano Coggiola celebra in latino nella cappella dell’ospedale. Quando, anni fa, si è rifiutato di dir Messa in italiano, la diocesi di Novara gli ha tolto la titolarità della parrocchia. Lo stesso è avvenuto a don Alberto.

Entrambi garantiscono che “il problema è clericale, non dei fedeli”. Il rito tridentino, spiega don Alberto, si pone in continuità con la tradizione liturgica della Chiesa, perpetuando forme e usanze che non sono mai state messe al bando. Non solo. “Il rito non è solo un fattore estetico - ammonisce il sacerdote mostrandoci gli ambienti austeri della chiesa - ma è legato alla dottrina: la riforma della Messa ha promosso un Cristianesimo con pochi dogmi e con poche regole".

"Troppo spesso - prosegue - si insiste sull'accoglienza, che è doverosa, ma si dimentica di dire che le persone che sono accolte dalla Chiesa devono iniziare un percorso di conversione."

Nel rito come nella dottrina, "ciò che viene dalla tradizione non si può abolire." E a chi obietta che il latino impedisce la comprensione, don Alberto spiega pacato: "Noi abbiamo sempre fornito dei messali con la traduzione. E comunque - spiega sorridendo - serve una comprensione differente, non solo letterale. Uno prima è coinvolto dal rito, dal canto, dal silenzio...."

La catechesi viene garantita grazie a incontri bisettimanali di dottrina e a un bollettino compilato insieme a don Coggiola e pubblicato sul blog "radicati nella fede".

E i fedeli arrivano, anche da molto lontano. C'è chi viene dalla Svizzera e chi percorre trecento chilometri a settimana per coltivare la propria fede nel rispetto della tradizione.

Certo, alcune affermazioni delle frange più progressiste della gerarchia lasciano spaesati, ma incontrando queste persone traspare evidente la convizione che la Chiesa vada aiutata - "e amata", come tiene a sottolineare don Alberto - dall'interno, nell'obbedienza all'autorità costituita.

"La Chiesa - spiega uno dei membri del coro - si salverà qui. Grazie alla tradizione."




Il video realizzato e pubblicato 
da "il Giornale" 


Così vivono i cattolici "anti-modernisti"
a cura di Giovanni Masini




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